mercoledì 24 aprile 2013

Quel diavolo di Twitter!

Ecco, è successo anche questo: non sapendo più a chi dare la colpa di un risultato non buono o di una sconfitta non prevista, i politici italiani hanno trovato un altro colpevole su cui scaricare le proprie responsabilità e dietro cui nascondere la propria incapacità di interpretare il presente e progettare il futuro: Twitter.

Se ne parla un po' ovunque in questi giorni: dall'ipotesi che Twitter "detti l'agenda" ai politici ai commenti di diversi giornalisti (Riotta, Iacoboni, ad esempio); e per ora di nessun politico, mi pare.
Molti hanno già sottolineato che Twitter, e la rete in generale, non sono realtà "altre", separate dalla realtà "vera", e che "il popolo della rete" non esiste, ma esistono delle persone che, oltre a comunicare per la strada, al telefono, sul treno, lo fanno nei social network.

Che cosa c'entra con questo la politica? E perché c'è tanto interesse, da parte dei politici, per Twitter, per i social media e per il web? I politici vedono in questi ambienti un mezzo efficace per autopromuoversi; e di certo, Twitter, i social media e il web sono anche questo. E vedono in questi ambienti anche degli strumenti potenti per rimbalzare ed essere presenti nei media tradizionali. E Twitter e i social media sono anche questo: dei trampolini di lancio verso media più vecchi, che tuttavia conservano (specie la televisione) un'audience ancora molto più ampia di quella dei social.

Ma Twitter, i social media e la rete sono anche molto altro, ed è questo che ancora sfugge (quasi) completamente ai politici, e a molti osservatori: sono ambienti in cui mutano completamente le relazioni sociali tra le persone; strumenti che cambiano alla radice il modo in cui comunichiamo, ci relazioniamo con gli altri, ci informiamo, lavoriamo, studiamo, apprendiamo, organizziamo la conoscenza. E questo avviene fondamentalmente perché i social funzionano attraverso meccanismi di interazione orizzontali, basati su flussi condivisi di conversazioni, che sono fortemente legate al presente, agli eventi mentre stanno avvenendo, ma al tempo stesso restano a disposizione di tutti in depositi ricercabili e permanenti.

Questi meccanismi stanno contribuendo a modificare gran parte delle nostre attività quotidiane, ed anche rapporti consolidati nel tempo come quelli tra i politici e i cittadini; non nel senso del "dettare l'agenda", ma in quello, molto più importante e profondo, di avere delle aspettative precise, e non derogabili, sul loro atteggiamento nei confronti di chi rappresentano. Twitter e i social sono condivisione, di idee, di rapporti, di conversazioni; i politici che scelgono di comunicare nei social, come chiunque altro, devono adottare questo atteggiamento di condivisione, che è di tipo culturale e sociale molto più che tecnologico.

Allora, se è vero, come scrive Riotta, che la politica si fa con le idee e non con la rete, è altrettanto vero che queste idee devono essere non solo comunicate, ma anche condivise e possibilmente co-costruite. E' questa "l'agenda" che sempre più sarà dettata da Twitter: non è più il tempo di decisioni prese a senso unico e cadute dall'alto, come lo sono tradizionalmente quelle di un insegnante che insegna ai suoi studenti, di un giornalista che scrive ai suoi lettori o di un politico che comunica coi suoi elettori. In rete si comunica in modo diverso, il paradigma della trasmissione a senso unico, che valeva fino a poco tempo fa come modello unico e sufficiente per l'insegnante, il giornalista e il politico, è sempre più integrato da quelli dell'interazione e della condivisione.

Questo non vuol dire che da ora in poi "l'agenda" sarà dettata al politico dal professionista, dall'idraulico o dal commerciante attraverso Twitter; vuol dire invece che il politico, se vuole conservare qualsiasi tipo di credibilità, deve abbandonare l'atteggiamento di chi trasmette un'opinione come un dato di fatto a un'audience muta di milioni di persone, ed assumere quello di chi si cala con umiltà in un luogo in cui tutti parlano con tutti, tra pari, e soprattutto dove tutti ascoltano.

Per un politico, Twitter non è uno strumento diabolico che minaccia di mettere in discussione per sempre il suo potere: è un'opportunità straordinaria, una palestra in cui imparare ad ascoltare le opinioni della gente.




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