lunedì 18 luglio 2022

Il governo che verrà nelle parole della stampa


Il discorso giornalistico è spesso caratterizzato dalla ripetizione insistita di cliché, stereotipi linguistici che ripropongono continuamente abbinamenti di parole cristallizzati. Così ad esempio la stampa racconta sistematicamente storie di persone ferite a colpi d’arma da fuoco, di ingorghi stradali per il traffico in tilt, e di scioperi come insiemi di lavoratori che decidono di incrociare le braccia.

Ci sono tuttavia dei temi ricorrenti, soprattutto in ambito politico, in cui il discorso giornalistico, accanto a questa tendenza alla convenzionalità espressiva, rivela una vocazione straordinariamente e sottilmente creativa. Uno di questi temi è quello delle crisi di governo, durante le quali la stampa, di fronte a un governo che non c’è più, si sforza di immaginare e di descrivere le caratteristiche del nuovo governo che verrà. Sta succedendo anche in questi giorni, con il tormentone della fiducia/sfiducia al governo Draghi.

Per curiosità, sono andata a cercare nel corpus che raccoglie 16 annate di Repubblica (1985-2000) le sequenze di parole con frequenza > 10 che seguono il lemma governo. In particolare, ho cercato:

  • gli aggettivi (es. governo forte);
  • le sequenze di + nome (es. governo di scopo).

Il corpus è interessante, perché permette da un lato di seguire l’evoluzione delle combinazioni usate dal quotidiano per descrivere i governi nell’arco di un quindicennio, dall’altro di confrontarle con quelle usate oggi (su cui scriverò un post successivo). Ecco quello che ho scoperto.

Le caratteristiche

I governi vengono descritti su Repubblica per mezzo di aggettivi riferiti alle loro caratteristiche politiche e istituzionali. Un governo può quindi essere tecnico, tecnico-politico, o politico; istituzionale, parlamentare, costituzionale, presidenziale, pre-elettorale, elettorale o referendario (attestato nel periodo 1987-92). 

Per quanto riguarda la sua composizione, può essere monocolore (1985-93), tripartito, quadripartito o anche pentapartito (1985-94: una specie di reperto archeologico). 

Per il suo orientamento può essere laico, centrista, moderato, neutrale, popolare, minoritario, alternativo, riformista o riformatore. In modo inquietante, un governo può inoltre essere parallelo, o occulto, come in questo articolo del 1989:

La Dc ha poi dato all' Italia anche un'altra anomalia: quella del potere consociativo. Vale a dire la tendenza a cogestire il potere di governo anche con quelle forze che stanno all'opposizione. Naturalmente le si rimprovera di farlo se la consociazione concede potere di governo occulto ai comunisti. Ma la pratica di stare al governo e di trovare dei consoci tra l'opposizione si è parecchio diffusa.

Più interessanti sotto il profilo della creatività sono gli abbinamenti di governo con sintagmi preposizionali introdotti da di. In questi casi, l’inventiva dei vari giornalisti porta alla creazione e all’uso di una lunga serie di combinazioni, che si riferiscono ad esempio: allo spettro di forze politiche che il nascente governo sarebbe in grado di raccogliere attorno a sé (di larga maggioranza, di larghe intese, di [larga/grande] coalizione, di larga convergenza, di minoranza, ma anche di maggioranza); agli obiettivi specifici che il governo si proporrebbe (di programma, di ricostruzione, o, in perfetto politichese, di convergenza programmatica). Quest’ultima locuzione è stata usata nel 1988 per designare una proposta del Partito Comunista per la formazione di un nuovo governo:

[…] dovrebbe essere responsabilità di tutte le forze democratiche contribuire a un governo in grado di dare risposte a questa crisi. Si tratta di un governo di convergenza programmatica, ma abbiamo detto anche un governo di garanzia istituzionale perché si vada in Parlamento senza schieramenti precostituiti a un confronto per rinnovare ciò che va rinnovato.

Le combinazioni possono anche riferirsi allo specifico contesto politico in cui il nuovo governo andrebbe a operare, e su cui cercherebbe di influire, segnando il passaggio ad una fase politica nuova: si parla allora di governo di svolta, di tregua, di emergenza, di servizio, di transizione, di (fine) legislatura, di alternativa, o, con suggestiva metafora enologica, di decantazione: quest’ultima combinazione è usata per la prima volta in Repubblica dal 1987, e si ripresenta periodicamente nel corso di tutto il quindicennio, fino al 2000.

C’è poi il governo del ribaltone, usato da Repubblica nel 1994, nel 1995 e nel 1998, in alternativa al semplice ribaltone, come in questo esempio del 1994:

La posizione di Fini non cambia: si deve andare a votare con il governo Berlusconi. Qualunque altra soluzione vedrà Alleanza nazionale all' opposizione. E "a prescindere dal modo con cui il governo sarà chiamato - del presidente, di tregua, istituzionale, di decantazione o delle regole - sarà per noi unicamente il governo del ribaltone, magari mascherato”.

Un insieme nutrito di combinazioni fa invece riferimento al ruolo di rafforzamento della coesione del paese che viene attribuito al nascituro governo. Si parla quindi di governo di garanzia, di salute pubblica, di unità/unione nazionale, di solidarietà nazionale, di riconciliazione nazionale o di salvezza nazionale.

La durata

I governi di cui Repubblica ha parlato nei 16 anni considerati sono stati a volte definiti stabili, ma anche provvisori, transitori, di breve periodo, o, con locuzione di rara efficacia sintetica, perché evoca allo stesso tempo la brevità della durata, la stagione estiva in cui vedrebbe la luce, e il suo carattere di ininfluente transitorietà, balneari. Lo si deduce da questo esempio del 1986: 

Scontate le dimissioni di Craxi, si apre ora una crisi che sarà certamente lunga e difficile. Così lunga da consigliare, si diceva ieri sera, un momentaneo governo balneare di minoranza in attesa di vederci più chiaro.


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